Home Page Italian version
Atti del 1° Seminario Europeo "Falcon One" sulla Criminalità Organizzata Roma,
26 - 27 - 28 aprile 1995
Subscription Stampa Sommario
1. Aspetti metodologici
La prospettiva di utilizzare in modo sistematico i servizi nazionali di intelligence per contrastare la criminalità organizzata transnazionale, completa e orienta in una direzione più precisa il dibattito che tende ad attribuire un crescente contenuto economico al concetto di sicurezza nazionale dopo la fine della guerra fredda, ma implica anche l'affermazione del concetto di intelligence transnazionale che è qualcosa di diverso rispetto alla collaborazione tra servizi segreti di diversi Stati.
Questa prospettiva trae un supporto autonomo da due realtà parallele: la prima è che la criminalità organizzata è ormai un fenomeno strutturalmente transnazionale, come già accade a buona parte dell'economia mondiale; la seconda è che le modalità operative della criminalità organizzata presentano alcuni aspetti che non possono essere contrastati senza l'apporto delle tecniche di intelligence soprattutto perché si è allargata la zona grigia tra l'area della loro attività illegale e l'area della utilizzazione in modo legale o quasi legale dei proventi finanziari della prima.
Le organizzazioni criminali hanno steso intorno al loro nucleo di attività propriamente illegali una serie di iniziative che gradualmente le portano ad infiltrarsi nel flusso delle attività legali dei Paesi più sviluppati in modo sempre meno evidente ma sempre più efficace. Nei Paesi sottosviluppati, invece, esse sfidano direttamente le istituzioni oppure cercano di collocarsi in una posizione tale da poter svolgere un ruolo parallelo o in qualche caso di supporto ad alcuni obiettivi perseguiti dalle istituzioni, ad esempio nei campi delle politiche economiche export oriented, delle politiche di bilancia dei pagamenti e delle politiche commerciali, senza dimenticare le politiche legate alle questioni militari.
In entrambe le categorie di Paesi, inoltre, la criminalità organizzata ha applicato la sua tattica tradizionale di entrare nel circuito della vita politica, in modo diretto o indiretto, riuscendovi sia nei regimi restrittivi in tema di finanziamento dell'attività politica sia nei regimi permissivi. La crescente internazionalizzazione della vita politica, economica e sociale ha inoltre, involontariamente, offerto numerose nuove opportunità alla criminalità organizzata.
Alle due realtà sopra indicate se ne aggiunge una terza: la criminalità organizzata che usava la violenza in due direzioni principali - la prima per regolare i propri conti interni, la seconda per allargare la sua influenza in nuovi territori piegando le resistenze circoscritte a una a una - ha iniziato a convivere anche con le nuove forme del microterrorismo diffuso, nato dall'humus del macroterrorismo ideologico, utile per distogliere da sé l'attenzione crescente delle forze di sicurezza degli Stati.
Questi fatti spingono a considerare con maggiore attenzione la prospettiva dell'impiego organico dell'intelligence sul fronte della lotta alla criminalità organizzata a contenuto economico, che è qualcosa di ben diverso dall'intelligence economica di cui si parla da diversi anni.
La prospettiva di una svolta così importante nella storia dell'intelligence, di solito poco incline ad interessarsi ai reati comuni, deve quindi essere inquadrata in un ambito di piena chiarezza concettuale. E' su questo obiettivo, essenzialmente propedeutico, che ho impostato il mio intervento con l'obiettivo di individuare alcuni problemi che dovrebbero essere assolutamente affrontati in via preliminare e risolti.
Mi sono fatto guidare, in questo approccio metodologico, dal triplice postulato del più antico maestro della strategia, il cinese Sun Zu che visse 25 secoli fa. Nell'impostare una campagna strategica - e l'impiego dell'intelligence nella lotta contro la criminalità organizzata transnazionale è indubbiamente una opzione strategica - egli raccomandò di osservare tre princìpi:
- primo: sarai sconfitto se conoscerai te stesso ma non il tuo avversario;
- secondo: sarai sconfitto se conoscerai il tuo avversario ma non te stesso;
- terzo: sarai vittorioso se conoscerai te stesso e il tuo avversario.
Questo vuol dire che bisogna avere idee chiare sulla natura e sulla struttura di una intelligence mirata a contrastare la criminalità organizzata transnazionale. E vuol dire anche che bisogna definire con precisione la nozione di criminalità organizzata transnazionale, identificando le forme e i contenuti della minaccia che essa rappresenta.
Sul piano metodologico, quindi, è necessario porsi una serie di domande:
- le attuali strutture di intelligence, condizionate dalla lunga esperienza della guerra fredda, sono pronte e decise a svolgere questo compito?
- la natura essenzialmente nazionale dei servizi di intelligence è in grado di adattarsi, e in quale misura, ad un'azione che presuppone un coordinamento organico non solo internazionale ma forse addirittura sopranazionale?
- dove si colloca il confine tra il campo dell'azione tradizionale svolta all'estero dai servizi nazionali di intelligence e il nuovo campo di intervento in una zona grigia dove la sicurezza politica interna e la sicurezza militare esterna non sono apparentemente in gioco?
- è preferibile creare ex novo alcune strutture di intelligence appositamente dedicate alla lotta contro la criminalità organizzata transnazionale oppure è preferibile estendere e potenziare le strutture di intelligence esistenti e collegarle istituzionalmente ad altri organismi già operanti in questa lotta?
- in entrambi i casi, che cosa bisogna fare per evitare di applicare modelli concettuali e operativi pensati prevalentemente per altri scopi e che pertanto potrebbero adattarsi con difficoltà ai nuovi compiti?
- quale dovrà essere il collegamento tra l'intelligence impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata transnazionale e il potere giudiziario che resta tipicamente nazionale e non si ispira in tutti gli Stati agli stessi princìpi?
- più in generale: qual è il rapporto tra la criminalità organizzata transnazionale e la sicurezza nazionale? Ovvero: quali aspetti della sicurezza nazionale sono minacciati dalla criminalità organizzata transnazionale? Economici, politici, sociali, morali? E con quali implicazioni strategiche, cioè con effetti lontani nel tempo che in sede giudiziaria possono difficilmente essere apprezzati?
- infine: il concetto di criminalità organizzata transnazionale non implica forse anche il concetto di sicurezza transnazionale, finora limitata al campo militare e alla lotta contro il terrorismo? Ma chi deve definire questo concetto? Chi lo accetterà in tutto o in parte? Chi lo contrasterà per interesse o semplice sospetto di cedere informazioni senza contropartite equivalenti?
- e pertanto: come si integrano il concetto di sicurezza nazionale e il concetto di sicurezza transnazionale? E, in una fase successiva, come si potranno standardizzare i criteri e i metodi operativi? Ovvero e più in generale: è possibile creare un potere istituzionale d'intelligence transnazionale da contrapporre al potere reale della criminalità organizzata transnazionale?

2. Perché il ricorso all'intelligence
Io ritengo che non sia semplice rispondere concretamente a nessuna di queste domande. Posso affermare, tuttavia, che la prospettiva di ricorrere all'intelligence per contrastare la criminalità organizzata a livello transnazionale deve essere intesa nel senso di "ricorrere anche all'intelligence". Non si tratta di attribuire ai servizi d'intelligence un diritto d'azione esclusivo e di ridurre o sopprimere l'attività di altre strutture già operanti in questo campo; ma nemmeno si può immaginare, in modo riduttivo, che i servizi segreti entrino in azione su richiesta di altri soggetti motivata di volta in volta.
L'ipotesi entro cui si muoviamo è perciò quella di richiedere il contributo specifico e peculiare dei servizi d'intelligence, soprattutto nella misura in cui essi possono esercitare le loro particolari capacità operative, di ricerca di informazioni, di analisi e di previsione, e possono mettere in evidenza, con le loro metodologie, legami invisibili tra diversi soggetti o conseguenze a lungo termine considerate come negative dall'autorità politica.
In ogni caso è ben diverso utilizzare l'intelligence per contrastare l'attività criminale organizzata all'interno di uno Stato e concepire un'azione d'intelligence a livello transnazionale, con un meccanismo di coordinamento organico e operativo che è largamente estraneo alla cultura tradizionale delle esistenti strutture nazionali di intelligence. Bisogna essere pronti a modificare i criteri di reclutamento, di formazione e di operatività.
D'altra parte non bisogna pensare che le strutture operative ordinarie già esistenti siano pronte ad accogliere a braccia aperte l'intervento dell'intelligence nella lotta contro la criminalità organizzata, che finisce sempre per avere una dimensione territoriale e quindi può essere, per così dire, pensata operativamente in termini nazionali almeno nella fase giudiziaria.
A questo riguardo voglio ricordare un fatto che mi ha colpito. Si tratta della serie televisiva "Miami Vice" - di origine americana ma diffusa in numerosi Paesi - che esalta sistematicamente i successi delle forze ordinarie di Polizia nella lotta contro i trafficanti di droga in Florida, ma che spesso si trovano in concorrenza con la DEA, oppure devono affrontare alcune esigenze particolari della CIA o di altre agenzie federali, che quasi mai sono presentate sotto una luce favorevole.
Frutto di pura creazione a vocazione commerciale o di ideazione pilotata, questa serie televisiva non solo sottolinea le già storicamente note difficoltà di cooperazione tra le diverse forze di sicurezza, ma indica una strada da seguire: qualsiasi decisione istituzionale operativa deve essere "venduta" all'opinione pubblica, anche attraverso le forme indirette che passano attraverso i mass media, così da creare un contesto generale di consenso, indispensabile nei Paesi democratici. In altre parole, bisogna creare una cultura dell'intelligence transnazionale se si vuole l'ingresso dell'intelligence nell'azione di contrasto della criminalità organizzata transnazionale.

Sviluppando questa osservazione, devo sottolineare il fatto che l'intelligence della guerra fredda ha usufruito in Occidente di un forte appoggio da parte dei mass media, soprattutto attraverso film e letteratura, in cui accanto al ruolo dei protagonisti, esaltato per motivi di spettacolo, anche le strutture come tali sono state riconosciute nella loro efficacia. La lotta contro la criminalità organizzata è stata invece prevalentemente impostata sullo schema dell'azione individuale del singolo eroe che combatte non solo contro l'organizzazione criminale ma spesso anche contro la corruzione annidata nel suo stesso corpo di appartenenza e nei suoi referenti politico-amministrativi, alimentando la sfiducia della pubblica opinione nell'azione delle strutture dello Stato impegnate in questa lotta. Una intelligence mirata nella lotta contro la criminalità dovrà quindi curare la propria immagine pubblica della propria efficienza come organizzazione.
Il contesto attuale facilita questo compito. Il dibattito in corso sul futuro dell'intelligence, acceleratosi dopo la fine della guerra fredda, tende già a superare la divisione tra servizi d'intelligence destinati a proteggere la sicurezza interna dello Stato e servizi destinati a proteggere la sicurezza esterna.
In genere, la sicurezza interna ha avuto come oggetto principale il contrasto delle forze che minacciavano la stabilità di un determinato sistema politico mentre la sicurezza esterna è stata assorbita dalle preoccupazioni di ordine prevalentemente militare. Il quadro di riferimento della guerra fredda ha aiutato questa divisione dei compiti, ma esso si è modificato e ha stimolato la riflessione sul concetto stesso di sicurezza, affiancando la dimensione socioeconomica, distinta dal classico spionaggio e controspionaggio industriale, alla dimensione politico-militare.
E' facile constatare che, appena si esce dai concetti di stabilità politica interna o di sicurezza militare esterna, sia l'idea di stabilità sia l'idea di sicurezza diventano delle specie di contenitori nei quali confluiscono alla rinfusa diversi elementi: il traffico di armi di distruzione di massa, o di materiale, tecnologie e conoscenze ad esse legati; la violazione degli embarghi decretati dall'ONU; gli aspetti oscuri dell'assistenza umanitaria; il traffico di stupefacenti; le migrazioni clandestine; il riciclaggio di denaro sporco; lo spionaggio industriale, tecnologico e finanziario, al quale si dedicano, sempre più numerose, strutture private di intelligence alle quali non mancano i clienti; gli spostamenti di capitali speculativi sulle piazze finanziarie; la contraffazione non solo di banconote e di titoli di Stato; il traffico di organi per trapianti o di adozioni illegali nei Paesi più sviluppati a natalità decrescente; l'organizzazione del lavoro nero o minorile di tipo schiavistico; il commercio di beni contraffatti.
Tutto ciò senza dimenticare la corruzione politico-economica che coinvolge importanti flussi commerciali e finanziari, non solo a livello bilaterale tra Stati, ma anche a livello multilaterale attraverso le oltre 2000 organizzazioni internazionali governative o non governative che hanno centinaia di migliaia di funzionari e dipendenti.
La criminalità organizzata transnazionale finisce per comprendere tutti i casi sopra indicati. E solo questo dato farebbe prevedere la necessità di uno spiegamento imponente di uomini e risorse in grado di agire in tempo reale in ogni angolo del mondo, uno sconvolgimento profondo delle regole della privacy, una omogeneizzazione dei sistemi giuridici nazionali. Oppure, in alternativa, una drastica limitazione del campo d'intervento dell'intelligence che, come dimostra l'esperienza, spingerebbe la criminalità organizzata a limitati aggiustamenti.
Di fatto, in alcuni settori specifici, l'intelligence è già impegnata nella lotta contro la criminalità organizzata nazionale o transnazionale. Pertanto, ciò che è importante è che vengano definiti, formalmente e giuridicamente, i modi di una eventuale presenza di nuovo tipo e con nuovi obiettivi per evitare duplicazioni, conflitti di competenze o vuoti legislativi di cui la prima a trarre vantaggio sarebbe proprio la criminalità organizzata.
I poteri politici, cui spetta la parola definitiva al riguardo, non possono sottrarsi a questo compito di tracciare con precisione gli obiettivi, le regole, le responsabilità e le garanzie di una intelligence mirata a combattere la criminalità organizzata transnazionale. Non possono semplicemente autorizzare queste iniziative e aspettare i risultati.
Nell'ipotesi di una utilizzazione dell'intelligence nella lotta contro la criminalità organizzata transnazionale, mi sembra evidente, che tanto il principio fondamentale di organismi quali l'Interpol, fondato sull'esistenza di accordi internazionali specifici di collaborazione, quanto la consuetudine dello scambio di informazioni tra i servizi di intelligence, fondata sul principio della reciprocità, sono insufficienti per garantire un'azione efficace dell'intelligence nel contrasto della criminalità organizzata transnazionale.
In particolare, nel campo dell'intelligence, la collaborazione e lo scambio di informazioni dovrebbero uscire da una mentalità protettiva che reagisce solo su stimolazione per entrare invece in una logica attiva di flusso permanente di informazioni, da chi sa di più verso chi sa di meno. Devono essere stabiliti con precisione le strutture, i compiti, i rapporti delle forze di intelligence destinate ad operare contro la criminalità organizzata con tutti gli altri organismi impegnati nello stesso obiettivo, siano essi nazionali o internazionali o, se necessario, sopranazionali.
Con queste osservazioni penso di aver posto in luce la necessità di rispondere in modo esauriente al primo requisito posto da Sun Zu: "conosci te stesso".

3. La natura della criminalità organizzata
Il secondo postulato di Sun Zu afferma: "Conosci il tuo avversario". Nel caso della criminalità organizzata, l'immagine che di solito viene proiettata è opera in larga misura della criminalità stessa. E questo avviene per due motivi: il primo è quello, del tutto naturale, di creare un consenso interno all'organizzazione; il secondo è quello di dare all'esterno una immagine della organizzazione stessa che le sia in qualche modo favorevole.
Si può rilevare una forte coerenza tra immagine interna e immagine esterna. E questo non è un caso. Le associazioni criminali appaiono come duplicati dello Stato. Hanno infatti un territorio, una popolazione e un governo legati tra loro da regole, vere e proprie norme giuridiche, che traggono legittimità dal consenso medio che ottengono mescolando la violenza, la persuasione e l'interesse.
Questa analogia è fondamentale per la protezione dell'immagine interna ed esterna dell'associazione criminale. Credervi e, in qualche modo, rispettarla, è già dare un vantaggio tattico alla criminalità organizzata. C'è da chiedersi quanta letteratura popolare, quanti film, quanti servizi trasmessi dai giornali e dalla TV abbiano rafforzato, forse non sempre inconsapevolmente, questa immagine della criminalità organizzata che in fondo la premia. Qualsiasi processo alla mafia, qualsiasi confessione di "pentiti", ad esempio, hanno oggettivamente rafforzato la teoria del "codice d'onore", base del consenso interno e della forza di persuasione esterna. Nessuna operazione strategica contro la criminalità organizzata può trascurare la gestione dell'immagine dell'avversario. Al "codice d'onore", nell'opinione pubblica, bisognerebbe sostituire il "codice del disonore". Se mi chiedo se operazioni quali la saga cinematografica del "Padrino" abbiano giovato più alla mafia o più allo Stato, la mia risposta è che, presso l'opinione pubblica, la mafia ha guadagnato in prestigio e simpatia.
Come qualsiasi altra associazione, la criminalità organizzata persegue dei fini. Dico subito che, in tutte le sue manifestazioni e in tutte le sue forme, la criminalità ha un solo obiettivo: l'arricchimento. Tutto il resto è un mezzo per il raggiungimento di quello scopo. Questo aspetto deve essere posto al centro della battaglia d'immagine e della battaglia operativa.
Il discorso, allora, si sposta sull'analisi del meccanismo che consente alla criminalità organizzata di perseguire il suo unico scopo. Questo discorso deve essere chiaro: la criminalità organizzata non è contro lo Stato e le sue istituzioni. La criminalità ha bisogno che la società esista, meglio se si tratta di una società abbastanza robusta e funzionante, cioè una società che produce ricchezza in modo ordinato e regolare poiché solo in questo caso essa può vivere a sue spese. Ma va bene anche una società sottosviluppata, che offre vantaggi diversi ma integrabili nella macchina per la produzione della ricchezza.
Ne deriva una prima conseguenza precisa: più la società è complessa e più è articolato il suo tessuto organizzativo e istituzionale, proporzionalmente maggiori sono gli stimoli, le opportunità e i mezzi a disposizione della criminalità. Ciò significa che la produttività - mi si perdoni questo termine - della criminalità non è inversamente proporzionale al livello di autoritarismo o di efficienza o di modernità di uno Stato poiché essa si adatta a qualsiasi regime istituzionale, compete con esso ma senza volerlo mai distruggere del tutto, ne sfrutta i limiti operativi e scarica sulla parte della società fuori dal suo controllo i costi umani, sociali ed economici che produce con le sue attività.
Deve essere accettato con chiarezza che la criminalità organizzata è stata sempre più interessata al progresso economico e sociale, allo sviluppo, al dinamismo, alle iniziative in campo economico dello Stato, alla moltiplicazione delle autorità politiche e amministrative, al commercio internazionale, ai piani di sviluppo ambiziosi, ai conflitti tra Stati, alla redistribuzione e circolazione del denaro inteso come reddito cioè come potere d'acquisto. In quest'ultimo caso, l'espansione dello Stato assistenziale, necessario all'Occidente per vincere la guerra fredda, ha avuto come sottoprodotto indesiderato l'elargizione alle masse di un potere d'acquisto di cui ha beneficiato anche la criminalità organizzata.
La curva della complessità sociale e la curva della complessità dell'attività criminale sono cresciute insieme e quando la seconda ha tagliato la prima superandola, è stata obbligata a trasformarsi, investendo le sue risorse finanziarie di base, conseguite in modo illegale, in attività lecite o che sembrano tali. Le fasi di sviluppo di una società, dapprima agraria, poi industriale, infine terziaria e post-industriale, corrispondono sempre esattamente al tipo di presenza e di sviluppo della criminalità. Dal taglieggiamento dei contadini e dalla protezione a pagamento assicurata ai proprietari terrieri, la criminalità passa al controllo delle masse operaie, dei trasporti, del commercio per spostarsi infine sulle attività terziarie ad alto rendimento, finanziarie o di altro tipo, modellando i suoi profitti in funzione della ricchezza globale della società in cui opera.
Se in una lontana fase storica la criminalità può avere agito a favore della conservazione e della stagnazione economico-sociale, non c'è dubbio che essa ha visto maggiori opportunità di guadagno nell'accelerazione dello sviluppo economico. Non solo: la criminalità organizzata ha anticipato la capacità delle società multinazionali ad adattarsi ai diversi mercati e si trova a proprio agio nella presente fase di globalizzazione dell'economia poiché ha praticato l'integrazione orizzontale e verticale di tutto il ciclo produttivo, distributivo e finanziario e ha considerato le frontiere statali come inesistenti o facilmente superabili, sostituendole con criteri geoeconomici.
Si può dire qualcosa di più. Se il mondo è entrato nell'era della informazione e della comunicazione, la criminalità organizzata ha anticipato la consapevolezza e la pratica dell'importanza dell'informazione e della comunicazione. Definita sopra come un duplicato dello Stato, essa appare come una struttura che agisce nel ciberspazio, uno Stato al tempo stesso reale e virtuale, che non si contrappone agli Stati politici che conosciamo ma li attraversa e li permea come un'autostrada telematica.
La criminalità organizzata è attenta nel seguire tutte le fasi dello sviluppo: dall'entità delle erogazioni finanziarie alla loro destinazione locale, dai meccanismi di scelta delle iniziative da promuovere alle modalità di assegnazione delle risorse. Essa quindi si preoccupa di infiltrare gli ambienti politici decisionali a livello centrale e locale, ma anche i canali finanziari e le strutture amministrative di controllo, non solo in modo diretto, attraverso persone che controlla, ma anche in modo indiretto, attraverso le informazioni che può raccogliere e l'uso che ne riesce a fare.
L'azione propriamente illegale, che all'origine era il momento centrale dell'attività della criminalità organizzata, è oggi un prodotto finale, spesso un sottoprodotto che emerge da un ambiente manipolato il quale secerne automaticamente un flusso di ricchezza di cui una parte cade sotto il controllo delle organizzazioni criminali.
E' sufficiente ricordare qualche dato. Il commercio mondiale ha raggiunto, nel 1994, un valore di 5 mila miliardi di dollari, di cui 4 mila per scambio di merci e mille per scambio di servizi. Il budget di "Cosa Nostra" negli Stati Uniti nel 1991 fu calcolato dalla rivista "Fortune" in 120 miliardi di dollari, il doppio di quello della General Motors. Il fatturato complessivo del solo mercato mondiale della droga era calcolato nel 1989 in 500 miliardi di dollari, pari a ben più del 10 per cento dell'interscambio commerciale.
L'ambiente in cui opera non è creato direttamente dalla criminalità organizzata. Essa se ne serve, lo mantiene produttivo, lo stimola. Penso all'interesse che ha attivato la criminalità organizzata per mantenere vivo il tema delle aree depresse, attraverso i mass media e diversi leader politici, nell'ambito della Comunità europea. E' in corso, infatti, l'attivazione di meccanismi di inchiesta sulle truffe organizzate a danno della Comunità europea che sono in gran parte organizzate dalle strutture criminali. Non è difficile vedere come questo meccanismo si estenda al tema del rapporto Nord-Sud a livello planetario, al tema dell'intervento umanitario e alla enfatizzazione del ruolo delle organizzazioni internazionali governative e non governative.
La forza della criminalità organizzata transnazionale è di muoversi nella corrente, non contro la corrente: basti pensare ai temi della liberalizzazione dei movimenti delle persone, delle merci e dei capitali. Sani princìpi occidentali che la criminalità organizzata non ha difficoltà ad accettare e a volgere a proprio favore. Dieci anni fa, i mercati finanziari trattavano ogni giorno 300 miliardi di dollari; oggi ne trattano 1000 miliardi. E' ben noto che la criminalità organizzata vi svolge una parte non trascurabile.
Se un elemento di forza, forse il principale, della criminalità organizzata è il sistema delle informazioni e delle comunicazioni, è evidente che questo è anche il suo punto vulnerabili. Sun Zu diceva: "è il tuo avversario a suggerirti i mezzi per batterlo". Ma chi possiede informazioni utili per battere la criminalità organizzata è anche disposto a cederle?
Non solo la criminalità organizzata ha bisogno della società e dello Stato, ma spesso ha svolto paradossalmente un ruolo stabilizzante nei confronti delle istituzioni che queste possono difficilmente rifiutare o dei cui effetti subiscono comunque le conseguenze. Non mi riferisco al ruolo degli informatori delle forze di Polizia tratti dalla malavita, né ad accordi passati in casi particolari tra le autorità politiche o alcune parti dei servizi segreti con leader della criminalità organizzata, ad esempio in tempo di guerra o di guerra fredda.
Penso piuttosto a casi storici più sottili e di portata strategica, come quello italiano in cui la mafia siciliana, per difendere i propri interessi, contribuì ad eliminare il banditismo che si era diffuso nelle regioni meridionali dopo la realizzazione dell'unificazione politica del Paese negli ultimi decenni del secolo scorso. Essa rese obiettivamente un servizio allo Stato unitario ma ne trasse il vantaggio di stabilire legami con diversi leader politici. Oppure quando, dopo la fine della seconda guerra mondiale, la stessa mafia prima appoggiò e poi combatté il separatismo siciliano, rendendo un servizio allo Stato unitario e con gli stessi vantaggi.
Lo stesso avvenne negli Stati Uniti: il controllo del caotico afflusso di immigrati, la disciplina nei porti e nei cantieri edilizi, che furono assicurati dalle diverse mafie nazionali, furono anche di aiuto alle forze di Polizia e alle autorità federali nel controllo della stabilità sociale in un'epoca di tumultuoso sviluppo. Dell'epoca del proibizionismo negli Stati Uniti si può dare una particolare lettura strategica. Se da un lato la criminalità organizzata sfidava le forze dell'ordine, dall'altro lato consentiva a queste, soprattutto a quelle federali, di conquistare spazi nell'opinione pubblica e di allargare il loro ambito giuridico d'intervento in un Paese restio ad accettare il potenziamento degli organi centrali dello Stato.
La criminalità organizzata, a livello nazionale o transnazionale, non è semplicemente la somma di attività criminali individuali. E' questo, ed è qualcosa di più. I suoi protagonisti formano un complesso di network. Quindi, per combatterla, non sembra più sufficiente la strategia diretta delle forze di Polizia anche se collaborano a livello internazionale. Da qui è nata l'ipotesi di fare ricorso anche alla strategia indiretta che fa parte del bagaglio di competenze dell'intelligence che è in grado di seguire i processi decisionali dei diversi soggetti prima che siano giunti a compimento.
Anche nei Paesi totalitari la criminalità organizzata ha in parte contribuito al controllo e alla stabilità sociale, affiancandosi all'azione delle autorità ufficiali. Essa oggi sfrutta la loro democratizzazione e liberalizzazione mentre sostiene di fatto, nei Paesi di più recente industrializzazione, le politiche economiche governative export oriented, l'organizzazione del lavoro minorile effettuato in condizioni di violenza e di vera e propria schiavitù, l'esportazione di prodotti contraffatti, la gestione degli aiuti internazionali.
E' necessario allora riconoscere che, in questo secolo, l'evoluzione dello Stato nazionale e l'evoluzione della comunità internazionale hanno piuttosto favorito che danneggiato, non certo volutamente, l'espansione della criminalità organizzata che, si deve sempre ricordare, ha come obiettivo fondamentale il denaro e in funzione di questo obiettivo prende le sue decisioni.
Le due guerre mondiali, con i rispettivi dopoguerra, hanno creato formidabili occasioni di espansione dell'attività della criminalità organizzata. In tutti questi casi, da un lato per lo sforzo bellico e dall'altro lato per la ricostruzione, lo Stato è intervenuto nella vita economica in una misura senza precedenti, aprendo l'importante fessura dell'intermediazione politico-amministrativa nella quale la criminalità organizzata ha trovato un suo spazio operativo.
La seconda ricostruzione post-bellica, che si è accompagnata a un profondo processo di rapida industrializzazione, di forti spostamenti di popolazione, di aumento dei redditi e di diffusione del benessere, ha offerto alla criminalità organizzata numerose occasioni d'intervento anche perché è evidente che chi fa parte del gioco difficilmente conserva anche l'imparzialità dell'arbitro.
Deve essere chiaro un punto, che deriva dalla natura simbiotica, piuttosto che semplicemente parassitaria, del rapporto che la criminalità organizzata è riuscita ad imporre allo Stato e alla comunità internazionale: qualsiasi iniziativa dello Stato o della comunità internazionale, per quanto buona in sé, può essere utilizzata in parte a favore dalla criminalità organizzata. Negli ex Paesi comunisti, la criminalità organizzata si occupava dell'introduzione nel mercato di beni che non risultavano tra quelli legalmente importabili o lo erano in strettissima misura. Ancora sotto regimi comunisti, banche di quei Paesi sono risultate coinvolte nel riciclaggio di denaro sporco.
Ne deriva, sul piano operativo, che ogni legge dello Stato, oppure ogni decisione di organismi internazionali a contenuto economico, nel loro processo di formazione, dovrebbero essere pensate ed esaminate cercando di chiudere preventivamente tutti i possibili varchi in cui potrebbe infiltrarsi l'attività della criminalità organizzata.

Conclusione
Tutto ciò ha un costo e, in questo scambio, se gli Stati possono aver guadagnato qualche successo tattico, la criminalità organizzata ha spesso conseguito vantaggi strategici. Gli Stati non possono affrontare la lotta alla criminalità organizzata ammettendo la sopravvivenza di una zona grigia di collusione anche tacita perché in questo caso qualsiasi operazione coronata da successo non risolverebbe il problema.
Sun Zu, a differenza di Clausewitz che vedeva la guerra come continuazione della politica sotto altre forme, e quindi pur sempre come comunicazione, prescriveva invece che il conflitto fosse preparato anche attraverso una completa interruzione di qualsiasi forma di comunicazione e contatto con il nemico e chiedeva che i nemici, o presunti tali, viventi all'interno dello Stato dovessero essere isolati. Winston Churchill, che voleva vincere la guerra, non ricevette Rudolph Hess ma lo fece isolare.
La domanda finale riguarda pertanto, non l'opportunità di una utilizzazione dell'intelligence nella lotta contro la criminalità organizzata di natura economica, quanto piuttosto la volontà degli Stati di predisporre le condizioni operative affinché l'intelligence possa svolgere questo compito, senza accontentarsi di qualche successo isolato, ma con l'obiettivo di far crescere insieme la sicurezza nazionale e la sicurezza internazionale. Perché ormai è evidente che chi non collabora non è neutrale.

La versione integrale del n. 4/2011 sarà disponibile online nel mese di maggio 2012.